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Social Media ed Entertainment: l’esempio di Breaking Bad

Come ben sappiamo, la caratteristica principale dei Social Network è l’interazione, difatti nel momento in cui due soggetti interagiscono, non fanno altro che scambiarsi informazioni, reinterpretarle e reagire ad esse secondo “un’ influenza reciproca”.

Un tempo la comunicazione era esclusivamente verticale: le aziende si ponevano in ottica di advertising soltanto con un messaggio imposto dall’alto, televisivo o cartellonistico, in cui il pubblico (cliente o meno) non aveva in alcun modo la possibilità di parlare o di rispondere direttamente al messaggio.
Con l’avvento dei Social Network tutto è completamente cambiato, basta pensare allo stravolgimento che avviene continuamente nel settore dell’entertainment, ossia un particolare – ma tutt’altro che piccolo – segmento di mercato che possiede la caratteristica di avere un numero altissimo di engagement e di interazioni con il suo pubblico.
Questo legame tra il Social, televisione e pubblico incarna efficacemente l’esempio di cui abbiamo bisogno per spiegare la “comunicazione orizzontale”.

Breaking Bad e la comunicazione orizzontale

Quando si parla di Breaking Bad non c’è alcun bisogno di spiegazioni: si tratta semplicemente del miglior prodotto dell’industria culturale americana degli ultimi cinque anni. Gli endorsement nei riguardi degli attori, della regia e della produzione sono arrivati da tutte le parti: da Anthony Hopkins a Kevin Spacey fino a Jeffrey Katzenberg, CEO della Dreamworks, il quale ha offerto 75 milioni di dollari all’AMC pur di veder produrre almeno altri tre episodi dopo il finale. Insomma, ci si è davvero stracciati le vesti in tutto il mondo per questa serie.

La metrica del successo oggi si misura anche grazie alla capacità di engagement e di interazione sui Social Network e le brand pages di Breaking Bad si sono mosse benissimo: hanno fomentato un hype spasmodico di puntata in puntata fino a quella finale, garantendo anche la possibilità al pubblico di interagire con gli attori, porre domande, avere risposte, condividere contenuti di vario genere e scambiarsi opinioni.

La carta vincente che ha permesso a Breaking Bad di essere tanto seguito sui Social Network, al di là ovviamente della qualità altissima della serie in quanto tale, è stata la filosofia di approccio con la quale la produzione si è affacciata a questi strumenti: come ben scrive Brooke Ballard su steamfeed.com, il team di comunicazione che si è occupato del social della serie ha evidentemente basato tutto sul motto “BEING social, not DOING social”.

Quello che intende Ballard è che molte aziende, quando creano le proprie brand pages, non sono affatto interessate a creare davvero una comunicazione orizzontale o a ricercare vere interazioni con i propri utenti: essi “fanno” una campagna social ma non “sono” davvero social come, invece, lo è stata la produzione di Breaking Bad.

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Prendiamo un paio di esempi che possono aiutare a spiegare meglio cosa intendo.

L’interazione con Aaron Paul (Jesse Pinkman)

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Analizzando la pagina Facebook durante la messa in onda della serie, si potevano trovare delle foto di Aaron Paul con in mano un cartello con una data e un orario che recitavano “sarò qui per mezz’ora”. In quell’arco di tempo Aaron Paul rispondeva alle domande più pungenti degli utenti e non lo faceva dall’alto della sua autorità in quanto attore, ma si “abbassava al livello” del pubblico, scherzava con esso, usava parole quali “dude” o “bitch” che ricordavano anche il linguaggio del suo personaggio. Purtroppo questi post per qualche ragione sono stati rimossi e non sono più reperibili per un eventuale screenshot o un embedding.
Rimangono però alcune tracce di questo concetto di interazione anche nel video che vede sempre Aaron Paul sponsorizzare la “visione dell’ultima puntata in sua compagnia”.

Il video lo ritrae in piedi, in quella che potrebbe essere casa sua, parla in modo molto spontaneo e disinvolto come se fosse al bar. Aaron non si trova in un grande auditorium con un palco e un microfono a supportarlo: la dimensione “amatoriale” si contrappone alla magistralità delle riprese della serie e lo “abbassa” al nostro livello, verso la “comunicazione orizzontale”.

Stessa cosa verrà fatta con la campagna di “Live Tweeting” in occasione della settimana di maratona iniziata il 26 settembre: Aaron era connesso e commentava con gli utenti i momenti migliori della puntata pilota, sempre con lo stesso linguaggio, senza mai cambiare registro e ascoltando sinceramente le opinioni e le osservazioni dei fan. “Tune in, bitch!”

Riuscire a trasformare gli utenti in protagonisti

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Un altro grande merito del team della comunicazione di Breaking Bad è stato quello di aver reso i fan dei veri e propri protagonisti della pagina: ritwittando, commentando, lasciando spazio a tutti, si è davvero creato un tipo di engagement molto efficacie. Basta guardare questa immagine postata in occasione della festa di Halloween su Twitter e Facebook.

Il ragazzino è travestito da Jesse Pinkman e il suo cane (wuao) da Walter White.

Il messaggio è esplicito e a giudicare dal numero di preferiti e retweet viene decisamente ben recepito:

“Happy Halloween. Send us your #BreakingBad inspired costumes! #tbt”. (From our fan @inkjacket)

Ovviamente la promessa implicita è quella che i migliori costumi a tema “Breaking Bad” verranno postati nella pagina ufficiale con un link al profilo degli autori: ritorna l’orizzontalità e il protagonismo degli utenti.
Questo è “ESSERE” Social, e non “FARE” Social in maniera artificiosa, dall’alto e in modo verticale: molte aziende ancora non l’hanno capito ed approcciano in maniera completamente “sballata” ai nuovi media.

Si d’accordo, ma quali sono stati i risultati?

Prendiamo in esame il giorno del finale di stagione di Breaking Bad.
In quella giornata sui social network non si è capito molto: la serie ha completamente dominato tweet e post per 24 ore.
C’è stata anche molta confusione tra gli analisti e specialisti di social media, infatti come riporta digitaltrend.com, i dati inizialmente erano questi: come mezioni su twitter, #breakingbad ne ha ricevute 373.337 (una cifra abbastanza impressionante) di cui il 24,5 % positive e il 59% negative.
Questa percentuale così alta di sentiment negativo ha generato non poche perplessità, ma bisogna considerare che questo dato viene rilevato da un algoritmo automatico: si è giunti alla conclusione che il sentiment negativo non era per “Breaking Bad”, ma per la “fine di Breaking Bad”.
In pratica, la portata di Breaking Bad sui social network in quel giorno è stata incalcolabile.

Il giorno degli Emmys (il famoso premio che si svolge ogni anno in America), Breaking Bad ha vinto non solo il primo premio, ma ha stravinto anche sui Social Network. Secondo Entertainment Weekly infatti, la serie ha avuto il triplo delle interazioni e menzioni rispetto addirittura al secondo classificato (per non parlare quindi di tutti gli altri).

Breaking Bad non solo è una serie stellare, ma si è saputa anche ben posizionare sui Social ottenendo una particolare attenzione, creando fan, interagendo con loro, ascoltandoli: questi ultimi hanno ripagato in termini di fidelity e di visualizzazioni, di menzioni e interazioni che hanno portato benefici e soddisfazioni negli studi dell’AMC.

Il vero dato rilevante è stato però l’aumentare del pubblico nel corso degli anni: stagione per stagione il numero di spettatori è stato in costante crescita: una parte del merito va senza dubbio all’ottima campagna realizzata sulle varie piattaforme di comunicazione integrata.

Ho usato questa case history per spiegarvi quello che secondo me è un dato fondamentale: non bisogna trascurare l’utente, mai.
L’utente è quello che ci permette di vivere, il motivo per cui la nostra azienda respira e vegeta ed è a loro che dobbiamo porre la nostra attenzione. Il nostro lavoro deve essere soprattutto quello dell’ascolto e solo successivamente potremo essere noi a parlare per aspettare una nuova risposta.
Questa è esattamente la filosofia con cui è necessario approcciare ai Social Media.

Valeria Faiola
Project Manager